Chi lavora in ambito educativo sa che, spesso, le “belle notizie” sono piccole e rare, a volte quasi impercettibili da un occhio esterno. Ma chi conosce certe storie è in grado di cogliere quelle piccole gocce e, soprattutto, sa che così piccole non sono. E così quello che agli occhi di tanti può sembrare un minuscolo traguardo, per un educatore diventa motivo di festa grande. Diventa un grido di gioia, una grandissima bella notizia!
Durante quest’anno ho lavorato come educatrice di persone con disabilità per un progetto riguardante il “dopo di noi”. Questa espressione indica quel tempo futuro, ma spesso molto vicino, in cui le persone con disabilità adulte usciranno dal proprio nucleo familiare di origine per condurre una vita abitativa semi-autonoma. Che si possa progettare un “dopo di noi” per i genitori è (anche) fonte di rassicurazione: sanno che c’è qualcuno che si sta facendo carico del progetto di vita dei propri figli, anche quando loro non potranno più occuparsene quotidianamente.
Ma l’eco che questa espressione ha nei diretti interessati al progetto non sempre ha la stessa funzione rasserenante che ha per i loro genitori. Al contrario, per un figlio può essere motivo di paura, di ansia. Dopo di chi? Dopo i miei genitori? E io come faccio?
Il tema della separazione, accanto a quello del limite, bussano in maniera forte.
Il mio compito da educatrice, allora, non è “solo” quello di guidare verso un buon livello di autonomie domestiche e comunitarie (dalla preparazione
di un pasto all’organizzazione dei ritmi di una casa), ma è, oso dire soprattutto, quello di comunicare alle persone che mi sono affidate un “tu puoi”. Tu puoi, prima ancora che “tu devi”.
Tu puoi vivere un futuro senza i tuoi genitori, perché sei adulto ed è bellissimo che tu possa dire “io”.
Tu puoi guardare alla tua vita con fiducia, sapendo che ti regalerà tante possibilità. Tu puoi non perdere te stesso, ciò che sei, ciò che ti piace fare, ciò che ami, neanche la tua famiglia.
Dalle gocce preziose che raccolgo capisco che questa strada è possibile.
Lo vedo da Claudio, che si dice stressato da qualsiasi tipo di progetto o attività e che mi ha fatto passare un anno di opere di convincimento: l’ho sentito sinceramente dispiaciuto quando una settimana non ha potuto frequentare l’appartamento. Lo vedo da Mattia che, a suo dire, ha dei genitori immortali: fino a qualche mese fa si opponeva duramente al solo pensiero di poter abitare con altre persone, ma la scorsa settimana è stato lui stesso ad indicarmi due amici con cui gli piacerebbe vivere.
L’ho visto da Laura, quando è riuscita a scolare da sola la pasta e non vedeva l’ora di prepararla anche a casa sua per i genitori. lo vedo in Giulia: la sua serenità all’interno del gruppo, nonostante lei sia davvero molto limitata dal punto di vista delle autonomie, è la mia cartina di tornasole rispetto al clima relazionale che si respira.
Io imparo continuamente che queste persone possono. E li ringrazio delle piccole (enormi!) belle notizie che quotidianamente mi sanno dare.
Silvia C.
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