La bellezza è negli occhi di chi contempla

50 anni missionario nella terra del sorriso

50 anni missionario nella terra del sorriso

Il 12 giugno 1965 nel duomo di Milano, per l’imposizione delle mani di monsignor Luigi Oldani, – allora vescovo ausiliare della diocesi ambrosiana –  sono stato ordinato sacerdote per la Congregazione del Sacro Cuore di Gesù di Betharram. In quel momento non era neppure nella parte più remota dei miei pensieri che un giorno mi sarei trovato dall’altra parte del mondo!”

Padre Alberto Pensa, classe 1940, originario di Lierna, piccolo paese bagnato dalle acque del lago di Como, riassume con queste parole l’inizio della sua avventura sacerdotale, che dura ormai da quasi 50 anni. Una storia nata quasi “per caso” e poi proseguita per sentieri mai preordinati.

“Dopo i primi cinque anni passati all’allora seminario minore di Albavilla, ho accettato l’invito di una comunità dell’Inghilterra e sono partito, essendo quella una buona occasione per imparare l’inglese.

Un giorno passa a trovarmi padre Arialdo Urbani, mio compagno di studi e di ordinazione, rientrato da poco dalla Thailandia sua terra di missione, per un periodo di riposo, che mi racconta di una minoranza etnica che stava emigrando nel Paese dalla Cina attraverso la Birmania (oggi Myanmar) e di come sarebbe stato bello avere qualcuno che potesse dargli una mano.

Così il 1° dicembre 1972 mi sono trovato anch’io in Thailandia. Dopo aver studiato la lingua thailandese, sono stato destinato a una nuova fondazione: Ban Pong, nella provincia di Chiang Rai, nell’estremo nord del Paese. L’allora vescovo aveva assegnato una cifra per impiantare qualcosa di “provvisorio” perché non sapeva se il novello missionario, essendo giovane, si sarebbe adattato. In quella casa di legno, provvisoria, ci ho trascorso 35 anni!

Dal 1970 al 1985 la migrazione assunse dimensioni sempre più ampie, interessando fra le 30 e le 60mila persone. La popolazione di etnia Akha emigrava dallo Yunnan (Cina) verso quelle terre più verdi e tranquille sui monti della Thailandia.

Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno. In qualunque casa entriate, là rimanete e di là poi riprendete il cammino” (Lc 9,3). Ripensando a quei primi anni in missione mi ritornano queste parole di Gesù ai discepoli. Ho camminato per una decina d’anni nella foresta per seguire gli Akha che si insediavano in nuovi villaggi, in una zona lontana dal Centro 100-130 chilometri.

I primi tempi potevo raggiungere i villaggi di quella zona tre quattro volte all’anno, ora quasi tutti sono raggiungibili in macchina su strade di montagna, curva dopo curva, ma cementate.
Dal 2020 quei 10 villaggi formano un gruppo a parte con un nuovo responsabile per quanto riguarda l’apostolato. Come comunità religiosa seguiamo un medesimo numero di villaggi, più vicini al centro le cui dimensioni variano da 40 famiglie (200 persone circa) a 130 famiglie (600/650 persone circa).

L’educazione dei bambini è sempre stata la priorità: come poteva esserci una scuola in tutti i piccoli villaggi sparsi nella foresta? Ecco dunque la necessità, diventata poi urgenza a partire dal 1987, quando la Thailandia ha proclamato l’anno del turismo: i giovani erano attirati dalle possibilità di lavoro in città. Ho cosi cominciato a ricevere i bambini di quei villaggi per dar loro l’occasione di frequentare la scuola statale e le ragazze più grandi per prepararle all’impatto con la nuova realtà.

Proprio nello stesso anno, il Centro viene ribattezzato Holy Family Catholic Centre, cioè “Centro Sacra Famiglia”: all’inizio eravamo un piccolo gruppo e siamo cresciuti poco a poco con uno spirito di famiglia.

Il Centro è nato come naturale conseguenza del lavoro pastorale nei villaggi, un impegno che è cresciuto con l’aumentare del numero di villaggi. Neanche nell’immaginazione poteva esistere l’idea della messa domenicale, neppure con un elicottero a disposizione sarebbe stato possibile. Nei villaggi, comunque, la gente si riuniva e si riunisce tutt’oggi la domenica per la preghiera guidata da un catechista.
La sporadicità delle visite creava un’atmosfera di attesa, di gioia e la visita del padre era una festa.

Nel 1994 viene aperta la scuola “Bankonthip” (“Ban” significa “casa”, “Kon” in linguaggio poetico vuol dire “mano” e “Thip” sta per “speciale”): qui le ragazze hanno la possibilità di imparare il taglio e cucito e completata la formazione trovano lavoro nelle sartorie della città, dove sono apprezzate per la loro abilità.

E’ grazie alla presenza delle ragazze più grandi che la vita del centro ha una sua “autonomia”: dirigono tutto; organizzando ogni momento della giornata dei bambini, diventando un punto di riferimento come delle “sorelle maggiori”.
In questi anni il Centro ha aperto le porte a molti visitatori, anche dall’Italia, che, chi per pochi giorni, chi per settimane hanno potuto conoscere e vivere questa famiglia: rimangono colpiti dalla semplicità che trovano e dalla gioia dei bambini che coinvolgono il “visitatore” andando subito oltre il problema della lingua.

Certo, più passano gli anni più le spese aumentano, ma cerchiamo di mantenere lo stesso stile di vita che ci ha contraddistinti: non abbiamo mai avuto grandi fondi, però il necessario non è mai mancato. Anche per questo da qualche anno abbiamo messo in campo il progetto delle Adozioni scolastiche a distanze, creato dall’associazione missionaria AMICI Betharram Onlus: in questo modo è possibile sostenere il Centro nelle spese di vitto, alloggio e di iscrizione dei bambini alla scuola elementare.

Ripercorrendo questi anni, mi tornano in mente numerosi episodi: ogni anno a fine dicembre, è tradizione al Centro organizzare la Festa del Ringraziamento alla presenza degli ex allievi. Più di un centinaio rispondono all’invito, qualcuno con figli. Tre giorni accampati nel grandi prati attorno alla missione, serate segnate e rallegrate da danze, scenette.

Ma desidero condividere un episodio: riguarda Chujai, una ragazzina giovanissima, arrivata  tempo fa all’Holy Family Catholic Centre  desiderosa di imparare l’arte di taglio e cucito. Dopo un tempo di riflessione ha chiesto il battesimo. Ritornata al suo villaggio, situato in un altro distretto, ha fatto le sue scelte.

L’ho ritrovata a distanza di vent’anni alla benedizione della nuova chiesa del suo villaggio, sposata, madre di due bambini, catechista, responsabile e punto di riferimento per la vita religiosa. Mi è venuta incontro con lacrime di gioia e commozione. Ricordando gli anni vissuti alla missione mi ha confidato: “Ho imparato uno stile di vita nuovo che ho cercato di mantenere e che oggi provo a trasmettere ai miei figli. Grazie!”.

Piccoli frutti e segni di questi 55 anni da quell’eccomi. Chi può comprendere le vie del Signore? Mi tornano in mente le parole di San Michele Garicoits, fondatore della Congregazione, che ancora oggi per me rappresentano quel faro che indica la rotta: “Eccomi, senza ritardo, senza condizioni, senza rimpianto, per amore della volontà del mio Dio”.

 

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