La bellezza è negli occhi di chi contempla

Tentazione di Cristo nel deserto

Tentazione di Cristo nel deserto

Duccio di Buoninsegna
predella Maestà del Duomo di Siena (1308-11)
Tempera su tavola lignea
Dimensioni: 43 x 46 cm
New York – Frik Collection

La “Tentazione di Cristo nel deserto” è un’opera dipinta da Duccio di Buoninsegna che faceva originariamente parte della pala della Maestà del Duomo di Siena: nella ricostruzione virtuale del lato posteriore dell’opera lignea possiamo individuare la formella prescelta, nella predella, in sequenza a quella raffigurante la tentazione nel tempio.
A differenza di quest’ultima, nella tentazione nel deserto, le figure sono inserite in un contesto naturale, formato da uno scenario roccioso a tre livelli di gradazione cromatica, che favorisce un senso di profondità spaziale e prospettica.

L’artista ha però inserito delle architetture medievali dalle tinte pastello, che ci sembrano modellini di città, che incorniciano ed arricchiscono armonicamente la rappresentazione. I borghi cittadini a sinistra e a destra fungono da quinta scenica e si allineano agli angoli inferiori del quadro in modo differente: il primo con un fossato che costeggia le mura fortificate, il secondo si raccorda all’angolo del quadro, con andamento curvilineo, riportando la nostra lettura dell’opera verso l’alto.

Entrambe le città sono rappresentate mediante un’assonometria che anticipa la prospettiva intuitiva che da lì a breve avrebbe rivoluzionato in modo paradigmatico la rappresentazione dello spazio nella pittura.

Duccio di Buoninsegna raffigura la scena nel luogo biblico, il deserto, ma con l’inserimento delle architetture del Medioevo Toscano, la contestualizza anche nel suo tempo.
Personaggi e città sono rappresentati in scale differenti: le due figure protagoniste sovrastano l’ambiente a significare l’importanza dell’evento, che non riguarda solo la storia di Gesù, ma anche la storia dell’Uomo nel mondo.

Gesù poggia in cima ad un monte ben stabile ed illuminato, sicuro; al contrario Satana sembra instabile lungo un dirupo in una zona d’ombra: un implicito messaggio per il lettore.
Il diavolo, una cupa e monocromatica figura alata dalle sembianze sia umane che zoomorfe oltre che selvaggiamente barbuta, scarna e pelosa, viene scacciato da Gesù: con postura dinamica si dirige verso sinistra, nella direzione indicata dal gesto del Cristo, ma la sua testa girata in senso opposto, a Lui ci rimanda, e sembra voler ammettere una momentanea sconfitta in attesa di un nuovo prepotente ritorno.

Ecco il male che si allontana ma, attraverso le continue tentazioni, torna nuovamente all’uomo. La contrapposizione tra male e bene è di facile lettura nell’impianto quasi simmetrico del dipinto.
Se i due angeli alle spalle del Cristo sbilanciano la scena dalla Sua parte, il loro sguardo rimanda al centro il nostro.
Gesù con il braccio e la mano sinistra scaccia il demonio lontano, generando la linea di forza più simbolica del quadro, con l’altra mano tiene l’elegante veste come a significare che nemmeno quella deve essere toccata dal demone: essa è costituita da un mantello dal bordo dorato che diventa un sipario aperto sullo sfondo, oltre che prezioso e geometrico drappeggio che adorna l’Uomo.

Gesù è il soggetto bello per eccellenza nella raffigurazione, una bellezza reale e divina al tempo stesso: posato, determinato, statuario.

Egli impone il suo gesto con fermezza e grazia, stagliandolo su di un “cielo assoluto”, uno splendido fondo dorato, elemento tipico di questo genere di opere d’arte. La policroma vibrante è un tratto caratteristico della pala d’altare lignea medievale, ma l’oro è l’elemento unitario e distintivo di tutta la pala d’altare. Insieme a tutti i messaggi biblici destinati alla nostra vita, noi desideriamo leggere nello sfondo lucente anche la simbologia del Dio Padre, presente e trionfante.

Rosy

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