La bellezza è negli occhi di chi contempla

Martedì della settimana della I Domenica dopo Pentecoste

Martedì della settimana della I Domenica dopo Pentecoste

 Luca 4, 25-30

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «In verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a
Sarepta di Sidone. 

C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».

 

 

All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù.
Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

#amoregrande #universalismo #durezzadicuore

Gesù per rafforzare l’universalismo del suo messaggio, anticipato nei capitoli precedenti, porta due esempi estremi, presi dall’Antico Testamento: Elia, inviato dalla vedova di Sarepta, ed Eliseo che purificò Naaman il Siro.
Due le sottolineature che mi preme condividere, a partire dal brano di oggi.
La prima, che trae spunto da un’omelia di papa Francesco, che – commentando questo Vangelo – si volle soffermare sulla grandezza dell’amore di Gesù, che va a Nazaret a portare il suo
annuncio, ben consapevole che riceverà un netto rifiuto.
“[…] se prevede un fallimento, perché va lo stesso al suo paese? Perché fare del bene a gente che non è disposta ad accoglierti? […] Egli, davanti alle nostre chiusure, non si tira indietro: non
mette freni al suo amore. Davanti alle nostre chiusure, Lui va avanti. […] E oggi invita anche noi a credere nel bene, a non lasciare nulla di intentato nel fare il bene.” (Angelus, 30 gennaio 2022)

Il secondo atteggiamento su cui vorrei soffermarmi, invece, è proprio la durezza di cuore di coloro che non vogliono riconoscerlo come Messia, perché diverso dalle loro attese. Coloro che
potrebbero essere i più “vicini”, gli abitanti di Nazareth, che lo hanno visto crescere, non hanno il coraggio e l’umiltà di abbandonare i loro pregiudizi, per farsi toccare dalla verità.

Noi siamo davvero aperti alla ventata di novità portata dalla sua Parola? Oppure siamo così radicati nelle nostre sicurezze (l’immagine di Dio che ci siamo costruiti attraverso la nostra storia
di fede, le abitudini della nostra comunità, le “certezze” delle nostre tradizioni, anche ecclesiali) da non essere più capaci di un ascolto vero e profondo? di uno sguardo capace di cogliere lo
spiraglio di luce anche ei momenti di buio? … del coraggio di “osare la speranza”?

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