La bellezza è negli occhi di chi contempla

La storia della salvezza tra spirali di piombo

La storia della salvezza tra spirali di piombo

Nella domenica della dedicazione della nostra Cattedrale, ci soffermeremo oggi su un oggetto insolito, che forse passa addirittura inosservato rispetto ai tanti punti di interesse presenti in Duomo, nonostante le dimensioni monumentali: lo si trova passeggiando nella penombra del transetto sinistro, dove si staglia
silenzioso e austero da quasi 500 anni. Stiamo parlando del Candelabro Trivulzio, capolavoro di oreficeria realizzato tra il XII e il XIII secolo in Francia, e donato alla cattedrale dall’arciprete Giovanni Battista, membro della nobile famiglia Trivulzio, principale esponente del partito filofrancese nella Milano di inizio Cinquecento.

Nel medioevo esistevano numerosi esemplari di questo tipo, per esempio a Reims o Cluny, oggi scomparsi: il candelabro di Milano è l’unico ad essere rimasto integro fino ai nostri giorni e, per le sue dimensioni monumentali – 5 metri di altezza per 4 di larghezza – è il più grande che si conservi.


Che significato può avere un candelabro a sette braccia – chiara derivazione della menorah ebraica – in una chiesa cristiana? Possiamo trovare una possibile risposta perdendoci nei dettagli che lo compongono, seguendo con gli occhi le spirali di bronzo che sostengono figure dinamiche e svettanti, gli animali mostruosi come i quattro draghi alla base, indugiando sulle gemme di quarzo, di agata, di lapislazzulo, che regalano guizzi di colore tra il nero metallo.

Quando Dio ordinò a Mosè di costruire un candelabro insieme a tutte le altre suppellettili del Tabernacolo, la tenda innalzata dal Patriarca nel deserto durante il viaggio verso la terra promessa – il primo vero tempio del popolo d’Israele – indugiò soprattutto sulla sua forma, senza dare spiegazioni sul perché i bracci
dovessero essere proprio sette e senza indicarne la simbologia. Sin da subito però la sua conformazione ha consentito ad un accostamento con il motivo dell’albero della vita, ben conosciuto in tutta l’area del Vicino Oriente antico, tema cosmologico che la più tardiva iconografia giudaica medievale avrebbe poi
nuovamente recuperato, coprendo di debordante vegetazione i bracci della menorah.

In ambito cristiano, una lettura di quest’oggetto liturgico viene data da Isidoro di Siviglia (560 – 636) e da Beda il Venerabile (673 – 735), che tramandano un’articolata teoria del Tabernacolo. Per Isidoro, se il Tabernacolo è la chiesa, il candelabro è Cristo, che rinsalda il legame dei due testamenti per mezzo dell’azione dello Spirito. Secondo Beda, il fusto significa Gesù, i bracci gli apostoli: il candelabro diviene strumento per esprimere la solidarietà fra antico e nuovo patto.

Nel candelabro milanese questo concetto è ribadito dai personaggi nascosti tra i bracci, che rappresentano la storia della salvezza. Dopo Adamo ed Eva, giunge il tempo dell’obbedienza e della fiducia nel Signore con Noè e Abramo, quindi il tempo della scelta della nuova Alleanza (Mosè) e infine il tempo della consacrazione del popolo eletto (Ester, Davide).
Ogni passaggio narrativo del bronzo milanese sembra idealmente tendere a Gesù e il candelabro può essere considerato anche un Albero di Jesse, che racconta la genealogia di Cristo (sono presenti anche una Madonna con il bambino e il corteo dei Magi).

Ma a cosa serviva un oggetto così pesante che non poteva neanche essere utilizzato in processione? Le guide della cattedrale di Milano nel Settecento e nell’Ottocento si limitano a riferire che tutte le sue lampade venivano accese nei giorni festivi, come era logico attendersi: ed ecco che si apre un’altra simbologia, forse la più semplice e più immediata, quella di Cristo-luce che illumina il cammino di ogni uomo.

Concludo con una citazione del Cardinal Martini alla prefazione della bella monografia su questo straordinario manufatto, edita da Credito Artigiano nel 2000:
Da queste pagine sul Candelabro – albero della luce – emerge nella sua potenza simbolica Gesù Cristo:

Non pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti. Non sono venuto per abolire, ma per dare compimento” (Mt. 5,17).

Arianna

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