La bellezza è negli occhi di chi contempla

Dimmi: cosa significa per te LIBERTA’?

Dimmi: cosa significa per te LIBERTA’?

Diceva il grande giornalista Enzo Biagi: “La libertà è come la poesia: non deve avere aggettivi, è libertà”.
Mi trovo d’accordo.

Predicare o meglio paragonare poesia a libertà da un lato conferma l’autonomia che la parola libertà, allo stesso modo dell’espressione poetica, invoca come diritto, dall’altro afferma come libertà e poesia abbiano una comune fonte: l’intimo della coscienza. Dall’interiorità infatti sgorga la poesia, parola dettata dai sentimenti, e i sentimenti rivelano nel loro inarrestabile fluire la libertà caratterizzante il “sentire” dell’uomo.
E’ questo “sentire” una componente primaria dell’ “esserci” – come diceva Heidegger – dell’uomo sul palcoscenico del mondo; per meglio dire dell’uomo che si scopre continuamente “altro” e “unico” rispetto a tutti i viventi in virtù del come si pone davanti alla vita.

Libertà e poesia parlano così un linguaggio simile soprattutto quando esprimono questa “unicità” che abita l’uomo.
“Unicità” che è desiderio di essere e di relazionarsi, volontà di comunicare e di legarsi, emozione di fare e di realizzarsi; sentimenti, facoltà, stati psichici che davvero si sposano in libertà e poesia.
A ciò nulla – sottolinea Biagi – si deve aggiungere perchè libertà e poesia vanno percepite e vissute per come sono, per così dire in presa diretta, mossi soltanto dalla meraviglia di “gustarne” l’essenza che esprime chi siamo.
Pur nascendo da questa meravigliante emozione la libertà, come il verso della poesia, chiede tuttavia di essere declinata nelle differenti situazioni che la evocano.

A ciò il linguaggio risponde affidandosi alle preposizioni, particelle grammaticali all’apparenza irrilevanti, pur tuttavia in grado di disegnare un’identità della libertà pertinente a come la libertà vuole esprimersi. Esse sono utili per dire in modo efficace alcuni tratti della libertà, colorandola di sfumature che ne illuminano significato e valore in una crescente ricerca di positività.
Avviamoci perciò all’incontro con tali particelle.

Iniziamo con la prima particella “di”.
La libertà “di” è la locuzione cui ci riferiamo immediatamente quando parliamo in termini generali di libertà e la intendiamo nell’accezione di soddisfazione di ogni bisogno di base dell’uomo.
Questo profilo della libertà trova il suo perchè nell’istintività e costante tendenza ad interagire con il mondo e, in un certo qual modo, a padroneggiarlo.
E’ questa “libertà di” la libertà che meglio dice l’ambivalenza sempre presente nell’uomo: l’azione di interagire con il mondo ha un valore positivo in sé, ma l’asservire ai propri intendimenti ciò che ci circonda ha aspetti negativi, in una parola, nella coscienza, sentiamo che essere liberi non deve e non può esaurirsi con la libertà di fare qualunque cosa ci venga in mente.
Intuiamo non essere questo un atteggiamento totalmente adeguato dal punto di vista etico perchè, troppo “ripiegato” sulla nostra soggettività.

Si fa allora avanti la particella “da”.
La libertà “da” proclama l’affrancamento e l’emancipazione da ogni costrizione e limite all’esplicarsi delle nostre potenzialità.
Siamo qui ad un livello più “alto”, stiamo esprimendo la volontà di salvaguardare le nostre potenzialità per attuare azioni orientate al raggiungimento di traguardi che, in mancanza di tale libertà, non potremmo conseguire.
Pur riconoscendo che tali traguardi sono spesso meritevoli di impegno e anche lodevoli nei contenuti non possiamo però non notare come si rimanga comunque ancorati, in una certa misura, ad una autoreferenzialità di fondo.

Sentiamo come la “libertà da” detti un approccio alle cose che non incentiva più di tanto la nostra azione verso il mondo; il rischio è rimanere intrappolati nelle nostre potenzialità senza riuscire ad attivare la molla interna che le renda proattive.

Ed è allora che avvertiamo quanto il nostro io chieda di più; chieda, cioè, di generare positività e i superare il nostro individualismo per avviarsi alla apertura verso gli altri e fondare legami.

Allora si propone la preposizione “per”, costruire con la “libertà per”.
Qui trova casa la decisione volontaria di dedicare le proprie energie a un obiettivo in grado di mobilitare e nobilitare la nostra persona.
La “libertà per” è perciò la cifra della coscienza capace di formulare ed attuare le migliori risposte all’anelito del desiderio.
Al contempo la “libertà per” assume una forte connotazione morale dal momento che la morale è norma di comportamento pratico e quindi la “libertà per” indirizza l’agire dinamico e attivo nel mondo rifuggendo l’arrocco nella solitudine dorata di chi vuole essere libero di stare bene solo con se stesso.

Ma ancora di più la “libertà per” è quella libertà morale che nessuna forma di potere potrà mai soffocare perchè radicata nella coscienza etica personale al riparo da qualsiasi forma di asservimento.
E così, passo dopo passo, si scopre che l’appagamento non sta tanto nella realizzazione del sè ripiegato su sè stesso, quanto nel muoversi nella direzione indicata dal “per”.

Il “per” ci spinge ad uscire dalla nostra soggettività per cercare il compimento della nostra umanità.
Tale compimento è il riconoscimento di colui che mi sta davanti come persona ed è la volontà e la necessità di interagire con lui per creare quella reciprocità il cui bisogno e la cui realizzazione sento sempre più importanti per la mia persona.
Questo è un passo decisivo verso il senso autentico della parola libertà perchè assorbe la “libertà di” svincolandola dal possibile smarrimento che le innumerabili esperienze della “libertà di” possono provocare, ma anche ripensa i limiti della “libertà da”, la cui fede in una esistenza priva di norme e di interdetti potrebbe avere come sbocco finale il ritrovarsi addirittura prigionieri delle
proprie solitudini.

La “libertà per” risulta invece cammino generativo e stimolante anche se, e meno male !!, mai concluso.
Prendiamo perciò coscienza come la “libertà per” rovesci ogni precedente immagine di libertà e riduca a poca cosa l’essere “liberi di” e l’essere “liberi da”.

La vera libertà è accettare per scelta di mettersi in gioco in un rapporto dialogico coscienti che il limite, di cui faremo certamente esperienza nel rapporto con l’altro, non ha il significato di impedimento, bensì chiede un moderato e amorevole ritrarsi per lasciare spazio all’altro .
La “libertà per” ci insegna come, in qualsiasi situazione di vita, non si possa essere “liberi di” ignorare il fratello né tanto meno “liberi da” quello che lui è o fa.

Ma esiste un ulteriore grande balzo che la “libertà per” stimola.
Parliamo della rivisitazione del significato di libertà elevandosi dal piano dell’orizzontalità del rapporto con l’altro uomo verso la verticalità del rapporto con Dio.

Leggiamo a tal proposito il versetto di Esodo (10,3): “Così parla il Signore ….. Lascia andare il mio popolo perchè mi presti culto”.
Sono le parole pronunciate da Mosè e Aronne davanti al Faraone per chiedere la liberazione del popolo ebreo.
Queste parole rivolte al Faraone erano nella loro essenza anche rivolte allo stesso popolo ebreo perchè fosse conscio (e qui torniamo alla coscienza) di come avrebbe dovuto agire questa libertà concessagli dall’uscita dalla schiavitù d’Egitto.
Essi sarebbero stati finalmente liberi di vivere i loro desideri, ma avrebbero dovuto in primis riconoscere Dio come Colui che li aveva liberati e a Lui rendere culto.

Ci piace interpretare questa libertà come “libertà per” Dio, cioè per rendergli culto, riconoscere il suo essere il nostro Signore.
E’ senso profondo di una libertà debitrice della salvezza ricevuta.
Ma è anche libertà che esprime un forte senso spirituale che affranca definitivamente da ogni forma di schiavitù.
Ed è qui che anche noi oggi intuiamo essere la quadratura del cerchio: la moralità espressa dalla “libertà per”, di cui abbiamo appena parlato, è un aspetto della ancor più grande “libertà spirituale per” che il riconoscimento della propria creaturalità e dipendenza da Dio induce nell’uomo di Fede.
A ben vedere è proprio in questa alleanza di libertà reciproca con la divinità che si comprende allora l’accezione ultima della libertà.
Obbedienza a Dio e alla Sua Legge che non è sottomissione, ma giusto riconoscimento della Sua potenza creatrice e del Suo essere il nostro Dio.
Tale obbedienza ci fa allora “liberi per” la Verità.
Nell’ottica della Fede cristiana questa legge è quella dell’Amore, o meglio della Carità che Gesù ha mostrato con la sua vita e con la sua azione.

Ecco quindi l’accezione finale del Cristiano: “Liberi per” amare !
Già Sant’Agostino diceva “ama e fa ciò che vuoi”, meditiamo e preghiamo su queste parole !!

Questa nota è stata scritta in occasione dell’imminente festa della Liberazione nazionale, la festa civile più significativa sulla libertà.
Il nostro pensiero vuole perciò andare a tutti coloro che si sono battuti per la libertà del nostro popolo e per come noi oggi possiamo vivere..
Per mille ragioni non è ancora la pienezza di ciò di cui abbiamo scritto, tanto c’è ancora da fare, ma abbiamo comunque il dovere di ricordare le loro azioni e i loro sacrifici che furono certamente vissuti per consegnarci un futuro migliore.
Giova perciò chiudere queste righe con le parole di Ungaretti “per i morti della resistenza” che fotografano, a nostro giudizio, bene il significato del loro sacrificio.

Qui
vivono per sempre
gli occhi che furono chiusi alla luce

perché tutti
li avessero aperti
per sempre
alla luce

 

Diego Pirinoli (Milano)

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