La bellezza è negli occhi di chi contempla

Deserto

Deserto

Gli amici di questo blog mi invitano a commentare la parola “deserto”. Ho sentito più volte raccontare da Carlo Carretto la sua esperienza nel deserto. Salgo sulla scaletta che ho nello studio per cercare un prezioso libretto di Carlo: “Lettere dal deserto”. Trovatolo, rimango sorpreso dalla dedica autografica che vi appose lo stesso autore e che avevo scordato: “A Edo, con affetto, nel ricordo dell’amicizia tonificante della locanda “sant’Ernesto”. Carlo – Roma, 26.5.1964”. Preferisco far parlare Carlo, che dopo i trionfi romani della sua presidenza centrale della G.I.A.C., preferì seguire le orme di Charles de Foucauld, ritirandosi a Tamarasset, nel deserto sahariano. Che cos’ il deserto? Può essere un luogo molto sabbioso, povero d’acqua, con una brusca escursione termica come quello dove visse Carlo. E’ il luogo del silenzio.

Scrive Carlo: “Questo scrutare il cielo; questo far silenzio è la cosa più interessante che compete a noi”.

Abbiamo bisogno di silenzio! Anche in questo tempo di pandemia, quando il chiasso si è attenuato, si sono esacerbate le parole gridate sui social. Abbiamo bisogno di relazioni equilibrate e significative, ma queste sono il frutto di un armonico rapporto tra parola e silenzio. L’uomo coglie nel silenzio la presenza di Dio E’ in questo rapporto che nasce la preghiera: ci si apre in comunione con Dio, talvolta si è muti, ma Lui parla e ci porta alla conoscenza di noi stessi. Ognuno costruisce il suo “deserto”: nel buio di una navata di una chiesa, nella contemplazione di un tramonto o lungo lo sciacquio delle onde del mare o nel silenzio della propria camera, la sera quando la quiete ha invaso la casa. Talvolta il deserto è arido e incolto, selvaggio, abitato da animali selvaggi, con rocce erose dal vento, dove non c’è vita: è il luogo raccontato spesso nella Bibbia e che si estende dal mar Rosso fino al golfo di Aqaba. E’ lì che la massa di schiavi diventò popolo di Dio, dove Mosè vide il roveto ardente, dove Dio diede la legge: è uno spazio ostile, tempo dell’attesa per giungere alla terra promessa, luogo di speranza.

Scrive Carlo Carretto: “Avevo fatto un passo in avanti: avevo accettato di vivere la vita contemplativa lungo le strade, in un quadro di vita somigliante a quella di tutti gli uomini”.

La sua tenda assomigliava alla casa di Nazaret dove accoglieva i rari passanti, i beduini, i tuareg. Il deserto, infatti, non è un traguardo, ma solo una tappa, un momento. Non ci si ferma nel deserto, lo si attraversa. Anche questo è il compito dei cristiani d’oggi: uscire dal deserto per mescolarci alle donne e agli uomini di questo tempo, vivere l’intimità con Dio nel clamore della città, nel chiasso del supermercato. nel tumulto di un ufficio o di una scuola o nel fragore assordante di un treno per pendolari. La preghiera diventa così compartecipe delle gioie e dei dolori di tutto il mondo. La solitudine non è isolamento e il silenzio è denso di parole e di presenze. Nel mondo così complesso e ingiusto, la preghiera può diventare anche contestazione per combattere l’utilitarismo, l’opportunismo, l’ingiustizia, la violenza e proclamare la fantasia, la bellezza, la gratuità. Sono ormai anziano e questa stagione è, forse, quella del poco senso che essa ha o che gli viene attribuito. Ho vissuto anch’io da giovane “i giorni dell’onnipotenza” quando – “ardito della fede, araldo della croce” – m’impegnavo a portare “un esercito all’altar”. Vivevo un cristianesimo da gregario, incline all’intruppamento. Ora considero la comunità come spazio di sosta riflessiva necessaria per entrare in comunione con Dio e con i fratelli. Ma per questo ho bisogno di attimi di deserto e di solitudine perché solo così incontro Dio. Lo scriveva anche il poeta austriaco Rainer M. Rilke:

“Una cosa sola ci è necessaria: la solitudine, la grande solitudine interiore. Andare in se stessi e non incontrarvi chi ti distrae. A questo punto bisogna arrivare: essere soli come solo è il bambino.”

Edoardo 

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