La bellezza è negli occhi di chi contempla

s. Edvige

s. Edvige

Luca 21, 10-19

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli:

 

«Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.

 

Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome.

 

 

Avrete allora occasione di dare testimonianza.

 

 

Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.

 

Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome.

 

 

Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».

Leggendo questo brano voglio soffermarmi oggi solo su due espressioni.

La prima: “Avrete allora occasione di dare testimonianza”.
Il Gesù di Luca, all’atto dell’ascensione, incarica i discepoli di essergli testimoni fino agli estremi confini della terra. La testimonianza è, dunque, un tutt’uno con la sequela, è in un certo senso nell’essenza della figura del discepolo. Qui Luca ci parla addirittura della testimonianza come occasione (parola tanto sentita in questo periodo …).

Ma occasione di cosa e perché?
Prima Luca elenca la persecuzione e poi la descrive come l’occasione per essere discepoli autentici e questa autenticità si lega strettamente con l’altra parola su cui vorrei meditare: perseveranza.

Alla luce di questo brano mi interrogo su cosa possa significare per me oggi essere testimone e provo a lasciar risuonare in me alcuni brani o ammonimenti del Vangelo che mi appartengono …
Forse essere testimoni significa non giudicare il padrone della vigna, che ha pagato tutti allo stesso modo …
Forse significa riconoscersi come pecorella smarrita e non come la restante parte del gregge …
Forse significa avere il coraggio di dire ogni giorno in preghiera al Signore “Da chi andremo, Tu solo hai parole di vita eterna” …
Forse significa abbandonare i miei fariseismi e riconoscermi pubblicano, samaritana, cieco, storpio, peccatore bisognoso di essere guarito …

Forse significa mettere al centro l’altro, come faceva Gesù, sacrificando un po’ di me stesso …

E tutti questi atteggiamenti, fatti con costanza e perseveranza, possono davvero plasmarmi e portarmi a non avere paura di essere controcorrente comportandomi in tal modo, di essere emarginato o “perseguitato”, poiché ho la certezza che Dio si preoccupa della mia esistenza al punto da aver contato persino i capelli del mio capo.

Questa perseveranza è quella che può consentirmi di affidarmi serenamente al Signore, rivolgendogli le parole del Salmo che la liturgia di oggi ci consegna (dal Salmo 26):
Il Signore è la mia luce e la mia salvezza:
di chi avrò timore?
Il Signore difende la mia vita:
di chi avrò paura?

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