La bellezza è negli occhi di chi contempla

Ferita

Ferita

Mi piace masticare la parola ferita, e la vedo come una compagna distratta nella mia vita.

Masticando masticando si muovono i ricordi e si viaggia nel tempo.
Le ferite più belle quelle in bicicletta, giocando a fare i grandi: ci rialzavamo da eroi, un po’ di saliva e le ferite diventavano medaglie di podi immaginari, sempre più profonde ad ogni racconto. Si tornava a casa sempre tardi, perchè ci aspettava il “resto”, una dose supplementare di quello che era successo… un sano
scappellotto o nei casi più fortunati una bella lavata di testa e la bicicletta appesa.
Crescendo crescendo, le ferite si sono accompagnate con le parole abbandono, tradimento, umiliazione.

Ho conosciuto le ferite degli amori estivi, curate a suon di chitarra e canzoni stonate, medicate a versi persi tra le rime baciate, disinfettate di notte dagli amici “esperti” mai feriti.
Le ferite inflitte all’amico, per una parola sbagliata, per la mancanza di delicatezza, perchè io devo dire sempre quello che penso, non posso tenermi tutto dentro, accelerando la chiusura del sipario, che sai non si potrà più riaprire.

Poi sono arrivate le ferite senza cicatrici, quelle ferite che solo con la fede ho imparato a conviverci, senza affogare nel dolore.
La foto del mio amico e lì davanti a me, comincio a stancare i ricordi, li vorrei buttare via perchè li ho usati troppo, leggo e rileggo il libro e alla fine nasce un sorriso e ritorno con i ricordi lucidi verso casa, verso quel posto segreto che ho dentro di me.

Di ferita in ferita ho fatto 40, ho conosciuto le ferite invisibili, quelle che pensi siano ormai cicatrizzate alla perfezione che non hanno lasciato un segno, e invece si aprono d’improvviso e non so il perchè.
Le chiamo le ferite a specchio, che dicono chi sono e mi ricordano i progetti, i mattoni che non sono diventati casa, ma strada su cui tutti i giorni cammino.

Papa Francesco nella sua meditazione quotidiana (Quelli che passano oltre 9/10/17), sulla parabola del buon samaritano scrive:
“Davanti alle tante «ferite» delle persone che incontra, l’atteggiamento del cristiano è quello del brigante che le infligge, del sacerdote o del «dirigente cattolico» che guarda e passa oltre oppure è quello di Gesù, il samaritano che si prende cura davvero del suo «prossimo», facendosene carico fino in fondo”. Quante volte io sono passato oltre? Oltre quelle ferite che faccio fatica a vedere o che non voglio vedere? Quante volte ho detto ho già le mie ferite?

Il Papa conclude la meditazione: “A me piace pensare al locandiere, che è il grande sconosciuto: cosa capì il locandiere?». In realtà «non capì nulla, ma ebbe stupore: sentì lo stupore di un incontro con qualcuno che faceva delle cose che mai aveva sentito che si potessero fare». E «lo stupore del locandiere è proprio l’incontro con Gesù»”.

Quante volte io riesco ad essere testimone, senza essere protagonista?

 

Ho stampato nel cuore, un’efficace espressione usata da don Tonino Bello, la Pasqua di Gesù ci permette di trasformare le “ferite” in “feritoie”. Le ferite, come finestre che ci fanno intravvedere e pregustare la pace del Risorto. Mettiamo dunque la mano nelle ferite, nostre e degli altri, senza lasciarci da esse impressionare, contempliamole .. ma con occhi di Pasqua.

Aurelio

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